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10 - La «Casa di Frantz»
Tutto l indomani, niente affatto rassicurato, punto da una inquietudine sorda
che la conclusione felice del tram busto della vigilia non bastava a dissipare, mi toccò
restar chiuso a scuola. Ma subito dopo l ora di «studio» che tiene dietro alla lezione
pomeridiana, mi misi in cammino per le Sablonnières. Faceva buio quando arrivai nel
viale degli abeti che portava alla casa. Tutte le imposte erano serrate. Ebbi timore di
riuscire importuno, presentandomi a quell ora l indomani di un matrimonio; così
rimasi fino assai tardi a gironzolare ai margini del giardino e nei campi vicini, sempre
sperando di vedere qualcuno uscire dalla casa sbarrata... Inutile speranza. Neppure
nella fattoria lì presso c era segno di vita. Dovetti rientrare a casa angustiato dalle più
oscure fantasie.
La stessa incertezza l indomani, sabato. Verso sera presi in fretta mantello,
bastone, un pezzo di pane da mangiare per via, e arrivando quando era già notte
trovai le Sablonnières tutte sbarrate come il giorno prima... Un filo di luce al primo
piano; ma nessun rumore, non un movimento... Però dal cortile stavolta vidi la porta
della fattoria aperta, il fuoco acceso nella gran cucina e sentii il rumore consueto di
passi e voci all ora di cena. Ne fui confortato ma certo non illuminato. Non potevo dir
nulla né chiedere nulla a quella gente Così tornai ancora a spiare, ad aspettare invano,
sempre illudendomi di vedere aprirsi una porta e comparire finalmente l alta figura di
Agostino.
Solo domenica pomeriggio decisi di suonare alla porta delle Sablonnières.
Mentre montavo i pendii spogli, sentivo rintoccare lontano i vespri della domenica
invernale. Provavo un senso di solitudine e di desolazione, non so che triste
presentimento mi guadagnava. Così non fui tanto sorpreso quando alla mia
scampanellata comparve solo il signor de Galais che mi parlò a bassa voce: Yvonne
de Galais era a letto con una forte febbre; Meaulnes era dovuto partire fin dalla
mattina di venerdì per un lungo viaggio; non si sapeva quando sarebbe tornato...
Il vecchio, molto imbarazzato e abbattuto, non mi disse di entrare ed io mi
congedai subito. Chiusa la porta, rimasi per un momento sulla soglia, il cuore stretto,
profondamente smarrito, a guardare senza sapere perché un ramo di glicine
disseccato che oscillava tristemente al vento in un raggio di sole.
Così, dunque, il rimorso segreto che Meaulnes portava in sé fin dal tempo di
Parigi era stato più forte; e il mio grande amico, alla fine, era dovuto fuggire lontano
da quella felicità che lo invischiava...
Ogni giovedì e ogni domenica tornai a chiedere notizie di Yvonne de Galais,
finché una sera, ormai convalescente, lei mi fece dire di entrare. La trovai seduta
accanto al fuoco, nel salone che dava con un ampia finestra fino a terra sui campi e i
boschi. Non era pallida come m immaginavo, anzi tutta infocata da chiazze rosse
sotto gli occhi, e tutta agitata. Sebbene ancora molto debole, si era voluta vestire
come per uscire. Parlava poco ma pronunciava ogni frase con straordinaria
animazione, quasi per persuadere se stessa che la felicità non si era ancora dileguata...
Non ricordo quello che dicemmo. So soltanto che a un certo punto chiesi esitando
quando sarebbe tornato Meaulnes.
«Non so quando tornerà,» rispose lei vivacemente.
C era nei suoi occhi una preghiera e io non volli chiedere di più.
Tornai spesso a trovarla. Spesso parlai con lei vicino al fuoco, in quel salone
dal soffitto basso dove il buio veniva più presto che in qualsiasi altro posto. Yvonne
non parla va mai di sé né del suo dolore nascosto, ma non era mai sazia di sentire da
me i particolari della nostra vita di scolari a Sant Agata.
Ascoltava con un aria tutta seria e dolce, con un interesse che avrei detto
materno, la storia delle nostre angosce e avventure puerili. Non si stupiva mai,
neppure davanti alle ragazzate più rischiose, più spinte. Questa tenerezza premurosa
che le veniva dal signor de Galais, le deplorevoli avventure del fratello non l avevano
stancata. Il solo rimpianto che le ispirava il passato, credo, era di non essere stata una
confidente abbastanza intima per suo fratello se, al momento della grande delusione,
questi non aveva avuto il coraggio di dir nulla neppure a lei e si era dato perduto
senza scampo. Se ci penso, era ben pesante il compito che aveva assunto la giovane
donna  rischioso, quello di secondare una creatura sfrenata e fantastica come il
fratello  schiacciante addirittura, quello di votarsi a un cuore avventuroso come
l amico mio, il gran Meaulnes.
La fede che conservava nelle fantasie infantili del fratello, la cura con cui
cercava di preservare almeno i resti di quel sogno dentro il quale era vissuto fino a
vent anni, Yvonne me le provò un giorno nella maniera più toccante e direi quasi più
misteriosa.
Capitò una sera di aprile desolata come una fine d autunno. Da un mese circa
faceva una dolce primavera anticipata e la ragazza aveva ricominciato le lunghe
passeggiate predilette in compagnia del signor de Galais. Quel giorno però il vecchio
era stanco ed io invece non avevo impegni: così lei mi chiese di accompagnarla,
sebbene il tempo minacciasse. A più di mezza lega dalle Sablonnières, mentre
costeggiavamo lo stagno, il temporale ci piombò addosso con pioggia e grandine.
Sotto la tettoia dove ci eravamo riparati dal rovescio interminabile, stavamo in piedi
l uno accanto all altra, gelati dal vento, pensierosi, davanti a un paesaggio
intorbidato. La rivedo, nell abito sobrio ed elegante, tutta sbattuta, tutta in tormento.
«Bisogna tornare a casa,» diceva. «Siamo ormai fuori da tanto tempo. Chissà
che cosa è accaduto.»
Ma, con mio grande stupore, quando potemmo finalmente lasciare il riparo,
invece di tornare verso le Sablonnières, proseguì il cammino invitandomi a seguirla.
Dopo un bel po di cammino, arrivammo davanti a una casa che non conoscevo,
isolata al margine di un sentiero sterrato che doveva portare verso Préveranges. Era
una casetta borghese, con il tetto di ardesia, non diversa dal tipo di edificio comune in
quella zona se non per esser così isolata e fuori mano.
A vedere Yvonne de Galais si sarebbe detto che quella casa fosse nostra e che
l avessimo lasciata per un lungo viaggio: chinandosi un po aprì un cancelletto e
subito ispezionò con uno sguardo inquieto quel luogo abbandonato. Il gran cortile
erboso dove, si capiva, i ragazzi erano venuti a giocare negli interminabili pomeriggi
di fine inverno, era sconvolto dal temporale. Un cerchio affondava in una
pozzanghera. Nelle aiuole, seminate a fiori e piselli dai ragazzi, non restavano più,
dopo quel rovescio d acqua, che scie di ghiaietta bianca. Alla fine scoprimmo,
rannicchiata contro una delle porte infradiciate, una covata di pulcini zuppi fino alle
ossa. Erano morti quasi tutti sotto le ali intirizzite, le piume sciupate della chioccia.
Davanti a questo spettacolo miserando la giovane donna mandò un grido
soffocato. Senza badare al bagnato e al fango si chinò a separare i pulcini ancora vivi
da quelli morti e li raccolse in una falda del suo mantello. Poi entrammo nella casetta
di cui aveva la chiave. Quattro porte davano su un corridoio stretto dove subito il
vento s ingolfò con un sibilo. Yvonne de Galais aprì la prima a destra, facendomi [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]

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